A. Marcucci – Pazienza e pietà

In 2 Pietro 1:5-9 vengono elencate quelle virtù cristiane che, esercitate una dopo l’altra, come gradini di una scalinata, portano il credente sempre più vicino alla perfetta statura di Cristo. In particolare la pazienza, in questo contesto intesa come sottomissione alla volontà di Dio, permette di praticare la pietà, cioè la capacità di amare ed adorare Dio con tutto il proprio essere. La Parola ci mette dunque in guardia da una religione meccanica e invita ogni credente a far proprie queste virtù per non cadere nella pigrizia e nella sterilità spirituali.

 

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P. Moretti – Uno sguardo rivolto verso l’alto

“Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo?” Questa domanda viene rivolta agli apostoli, in Atti 1:11, intenti a fissare Gesù, mentre è elevato in cielo. Come Figli di Dio chiediamoci se il nostro sguardo è sempre rivolto verso l’alto, nella speranza del ritorno del nostro Salvatore. Così facendo possiamo portare i valori del Cielo anche sulla Terra ed essere una testimonianza per aiutare gli altri ad alzare lo sguardo a loro volta.

 

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“Tutto quello che mi era accaduto, era servito perché potessi conoscere Cristo.”

Mi chiamo Luca, pensavo di conoscere Dio fin da piccolo, perché dall’età di due anni sono stato affidato al collegio gestito da suore, a causa di una famiglia che, oggi, definiremmo allargata.

Mia madre era una donna ribelle: da giovane si sposò con un uomo molto più grande di lei, da cui nacque una bambina, ma poco dopo si lasciarono; successivamente conobbe quello che è stato mio padre, che era tuttavia un uomo sposato. Anche questo rapporto è durato poco, lasciando me e mia sorella in una situazione di sofferenza e per questo siamo stati messi in collegio fino ai miei otto anni.

In collegio sentivo parlare di Dio e di Gesù: ci portavano tutti i giorni alla messa, celebrata in latino, che ormai conoscevo a memoria e ho anche fatto la Comunione. Mi era stato insegnato a comportarmi bene e quando sbagliavo la soluzione era la confessione. Pensavo a Dio però come ad uno che mi controllava, sempre pronto ad accusarmi. Certo, le suore influenzavano molto questa mia idea, supportandola con punizioni e ripetendomi che Dio non mi perdeva mai d’occhio: la vivevo come una minaccia.

All’età di otto anni, il collegio chiuse e fui affidato a mio padre. Frequentavo la parrocchia, andavo a messa e qualche volta ho fatto anche il chierichetto.

Avevo circa quattordici anni quando mio padre si ammalò gravemente e morì poco dopo lasciandomi nuovamente solo. Non riuscivo a capire perché dovessi vivere tutte queste situazioni, lo ricordo moto bene, mi sentivo ferito. Ero cosciente del fatto che sarei dovuto tornare o in collegio o con mia madre, che però fino a quel momento non aveva mostrato nessun interesse per me.

Ero così arrabbiato con Dio da maledirlo, non volevo più sentire parlare di lui e non frequentai più la chiesa.

Ma sentivo nel profondo la presenza di Dio.

Conobbi una ragazza di nome Paola, che oggi è mia moglie, e da quel momento tutto cambiò; conobbi i suoi genitori, ero tutti giorni a casa loro e iniziai a frequentare la chiesa cristiana evangelica, che allora si trovava in via Benincasa, ma lo facevo solo per far piacere a questa ragazza. Ascoltando le loro prediche iniziai a farmi delle domande e trovai fratelli che mi aiutarono a comprendere che non potevo solo con i miei sforzi essere una persona “buona”, come avevo imparato in collegio.

Iniziai a guardare Gesù con occhi diversi, imparando dalla Scrittura, in particolare dai Vangeli, che non sarei potuto andare in Paradiso con le mie buone opere, ma che l’unica via era Cristo.

Nel tempo mi resi conto che tutto quello che mi era accaduto, in particolare la morte di mio padre, era servito perché io potessi conoscere Cristo.

Dio si è preso cura di me donandomi Nello e Bruna, i miei suoceri, che si sono occupati di me con amore come se fossi loro figlio ed è anche per merito loro e di mia moglie Paola che io sono diventato Figlio di Dio. Vorrei che la mia testimonianza fosse di incoraggiamento per i giovani che, vedendo accadere cose nella loro vita, non comprendono subito il piano di Dio per loro, ma Dio ha il controllo di ogni cosa.

Nonostante le nostre imperfezioni Dio ha mandato Cristo a morire per noi. Dobbiamo imparare a guardare ai difetti degli altri non con critica, ma con gli stessi occhi pieni di amore con cui Cristo ha guardato noi.

Vi lascio alcuni versetti che mi hanno aiutato a comprendere la mia posizione:

Rom. 3:23-24 

“Difatti, tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio, e son giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù.”

 Giov. 10:28-29 

“(…) e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle di mano al Padre.”

M. Santangelo – Un’attitudine alla lungimiranza

Una parabola insolita viene esposta da Gesù in Luca 16:1-13, il cui insegnamento trae origine da un esempio negativo, quello del fattore disonesto. Gesù vuole portare a riflettere ogni credente sulla necessità di un’attitudine alla lungimiranza, al proprio bene futuro ed invita ad amministrare saggiamente i beni terreni, curando i rapporti con gli altri in modo da investire anche per il loro bene eterno.

 

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M. Mancinelli – Un uomo secondo il cuore di Dio

Dopo l’ennesimo disastro del re Saul, compiuto contro il popolo nemico dei Filistei (1Samuele13), Dio sceglie un uomo secondo il Suo cuore. Il giovane Davide, unto come successore, dimostra di avere un cuore umile e mite, sincero nel timore di Dio e pieno di lode. Quando anche cade nel peccato, Davide è pronto al pentimento. Queste sono le caratteristiche di un uomo che Dio apprezza. Com’ è il mio cuore? Ricorda che Dio sa donare un “cuore nuovo” a tutti coloro che si ravvedono.

 

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